Erano passati giorni dalla rottura della storica coppia ed io, con mio enorme disgusto, ancora non smettevo di pensare a quel benedetto capodanno ed alle labbra di Fabs.
Labbra che, per volere del fato, vedevo ormai ogni santo giorno sul pullman, nei corridoi, per le scale, oltre a tutte le notti che ormai mi ero abituata a passare senza chiudere occhio.
Avevo la coscienza sporca e le profonde borse che contornavano i miei occhi ne erano le prove lampanti.
Parlare con Iso-joe non era il problema maggiore, mi ripetevo che lei aveva lasciato Fabs per altre ragioni e che dato che non stavano più insieme non aveva senso dirle di quella notte perchè avrebbe solo peggiorato le cose.
Il vero problema nasceva nel mio stomaco ogni volta che, anche per sbaglio, lo sguardo di Fabs e il mio si incrociavano. Non potevo permettermi di prendere una cotta per lui, eppure non ero riuscita a far a meno di contare il numero delle volte in cui mi aveva guardata (erano 9 in tre giorni) durante le ore scolastiche o il viaggio nel bus. Come se non bastasse lui e le sue bretelle sembravano essersi accorti del rossore che pervadeva il mio viso e che mi faceva diventare un tutt'uno coi capelli ad una sua occhiata e, di certo, ne era compiaciuto. Un'altra pedina finita tra le sue abili mani. Per questo motivo in pochi giorni di scuola avevamo avuto decine di incontri casuali e di contatti assolutamente non intenzionali.
Fabs era un vero genio, continuava a tenermi sotto la sua ala per essere sicuro che al momento giusto sarebbe riuscito nuovamente a farmi cedere di fronte alle sue belle e vuote parole.
Cosa che io avrei impedito con tutte le mie forze, anche a costo di baciare un perfetto estraneo pur di evitare di baciare lui. Avevo già sbagliato una volta, non avrei ripetuto nuovamente l'errore nè ora nè mai.
Un evento tra tutti mi è rimasto particolarmente impresso: stavo andando verso il cancello di scuola con le altre, era una giornata tranquilla e l'aria fresca ci scompigliava i capelli. Lui era sulla scalinata che portava al portone d'ingresso dell'edificio e io, Costi, Tafà e Rumi eravamo dirette proprio all'entrata. Come da copione io l'avevo visto prima che lui si accorgesse di me e stavo pensando ad un modo per aggirare l'ostacolo invece di schiantarmici sopra quando i suoi occhi avevano incontrato i miei. Appena si era reso conto di chi fossi si era aperto in un fantastico sorriso sghembo, come se mi stesse aspettando da tempo. Per qualche secondo ero rimasta imbambolata a guardarlo, poi mi ero ripresa ed avevo accelerato il passo fermandomi solo una volta raggiunta la classe.
Al sicuro, avevo ascoltato i battiti che si susseguivano interminabili ed a intervalli sempre più brevi mano mano che la mia mente rielaborava l'immagine di quell'enigmatico sorriso.
Ero fottuta.
Pardon, sono fottuta.
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